_La tragedia greca era un’arte politica_

La dichiarazione che la tragedia greca è un’arte politica non è altro che una curiosità storico-culturale per noi illuminati di tempi illuminati, non è vero?

Sintetizziamo lo stato delle cose: La tragedia greca era lo stile artistico della democrazia greca. Questo significa che la tragedia greca era un’arte politica.

Una delle particolarità di questo stile artistico è che tutti i lavori teatrali erano messi in scena unicamente una volta. Per quale ragione? Beh, in quale altro modo sarebbe possibile suscitare nel pubblico (_vale a dire nella parte dei cittadini della città di Atene che partecipano alla rappresentazione_) quella emozione che viene chiamata catarsi? Un’altra cosa particolare di questi lavori teatrali è che sono scritti per un grande pubblico: almeno una parte grande dei cittadini di Atena era sempre presente alle rappresentazioni di questi lavori artistici. Allora, qual è stato il significato di questo stile artistico che si chiama tragedia greca? Se uno degli elementi principali della tragedia greca era quello di suscitare emozioni catartiche nei partecipanti (_cioè il pubblico cittadino della città di Atene_) alla tragedia, e se la tragedia greca era uno stile di arte politica, allora lo scopo della tragedia greca era quello di mostrare a questi partecipanti alla tragedia quanto lo stato attuale della democrazia differisse da quello che avrebbe dovuto essere.

L’affermazione che la tragedia greca era uno stile artistico politico è lecita per il fatto che già il primo lavoro teatrale conosciuto, “i Persiani” del più antico tragediografo greco Eschilo, vissuto dal 525 al 456, è una rappresentazione politica. Ciò significa che la tragedia greca è stata politica fin dall’inizio.

A proposito, questo significa anche che le affermazioni di Nietzsche sulla tragedia greca (_fatto nel suo saggio “La nascita della tragedia” [_“Die Geburt der Tragödie”_] dal 1874 e seguenti_) non hanno nulla a che vedere con quella che è stata la tragedia greca. Questo non sarebbe così male se non avesse preteso che le sue affermazioni non fossero accettate come universalmente valide. E questa, tale e quale, vale per molte altre affermazioni di questo filosofo, che ha fatto la sua opinione privata su qualcosa di assoluto.


(_Relativo alla funzione della tragedia greca vedi anche Siegfried Melchinger, Geschichte des politischen Theaters, volume I, casa editrice Suhrkamp, Francoforte, 1974._)


Ma se l’affermazione che la tragedia greca è un’arte politica, non è altro che una curiosità storica-culturale per noi illuminati di tempi illuminati, allora le seguenti domande sono inutili e pertanto non necessitano di risposta, non è vero?

Cosa sarebbe evidente se si mettesse in scena lo stato effettivo delle società occidentali, come viene espresso, per esempio, dai loro politici, dai loro spin doctors, dai loro giornalisti, dai media, quando dicono che la “democrazia” deve essere esportata in altri stati, ma non dicono che questo si riferisce sempre a quegli stati che hanno risorse naturali interessanti e/o persone che possono lavorare al banco di lavoro prolungato dell’industria nei paesi occidentali, o che ci sono paesi che sono di importanza strategica per le élite di potere occidentali e i loro satelliti nella politica, nella scienza dei spin doctors e nel settore culturale (_che comprende coloro che determinano come deve funzionare il sistema educativo_)?

Una tale rappresentazione teatrale ha poi dimostrato che non c’è solo una certa discrepanza tra lo stato reale delle società occidentali e quella che viene chiamata “democrazia”? O sarebbe allora chiaro che non c’è più una certa discrepanza in questo senso, ma che c’è un’incompatibilità tra lo stato reale delle società occidentali e quella che viene chiamata “democrazia”? O sarebbe poi diventato evidente che avremmo quella che io chiamo “lobbycrazia”? E potrebbe allora essere ancora possibile che tra gli abitanti degli stati lobbycratici possano nascere emozioni catartiche? Dopo tutto, sono umanamente ridotti a funzionare secondo le esigenze dell’economia aziendale …

© Gioacchino Endemann